Quando sono arrivata al Taj Mahal, nella città di Agra, in India, conoscevo già le sue origini e sicuramente avevo già sentito parlare della maestosità del monumento.
Ma è solo quando ho oltrepassato l’arco a volta intarsiato dell’entrata che mi sono resa conto di quanto guide turistiche e brochure non rendano giustizia al capolavoro fatto costruire dal re Moghul Shah Jahan in memoria della moglie Mumtaz Mahal, oggi nota con il nominativo di “la Signora del Taj”, morta dando alla luce il quattordicesimo figlio.

Sembra sia stata la stessa Mumtaz, in punto di morte, a esprimere il desiderio che il marito facesse costruire un’opera di incomparabile bellezza sulla sua tomba, a testimonianza del loro inseparabile amore terreno.
A farmi prendere la decisione di visitare il Taj Mahal, uno degli orgogli nazionali dell’India, è stata la curiosità di vedere di persona fino a che punto il dolore di un lutto poteva dare origine ad un’opera di tale perfezione.

Il Taj, o “sogno in marmo”, è una tomba costruita in marmo bianchissimo proveniente dalla città di Makrana, nel distretto di Nagaur della regione del Rajasthan, sotto la supervisione dell’architetto turco Ustad Isa Afandi. Il Taj Mahal fa parte di un complesso che comprende diverse tombe, fra cui anche quelle delle altre mogli di Shah Jahan e della dama di compagnia preferita di Mumtaz Mahal. Iniziato nel dicembre del 1631, ci sono voluti vent’anni e qualcosa come 20.000 tra operai, artisti, architetti e scalpellini perché l’opera venisse completata, ma nonostante tutto, l’imperatore non ha mai trovato pace.
A dire la verità, il mio primo “incontro” con il Taj Mahal è avvenuto al Forte di Agra, quando Danish, la mia guida locale, mi ha portata sulla torre Samman Burj da cui è possibile ammirare la tomba. È proprio qui che Shah Jahan ha trascorso gli ultimi anni della sua vita, torturandosi con la vista del meraviglioso palazzo che contiene il corpo della sua moglie preferita.
Guest post di Angela Corrias